Non sappiamo come si fa.
Non sappiamo come si compone un elogio funebre o una lettera di ringraziamento efficace, una presentazione in powerpoint, una tabella di excel, un riassunto delle puntate precedenti, un giro di parole che ci metta in condizione di spiegare a voi cosa pensavamo quando mettevamo piede in una sala prove che è stata costruita fondamentalmente per noi dove prima c’era uno spazio vuoto e dall’acustica imperfetta che, giorno dopo giorno, abbiamo riempito di cose, imbiancato, tappezzato, stuccato, in modo che quando battevamo le mani non ci fosse più quel rimbombo che ci faceva guardare negli occhi con un misto di sorpresa e delusione, come quando dai un morso a qualcosa che sembra dolce e invece alla fine è salato.
Sappiamo però cosa provavamo. Non possiamo spiegarvelo. Lo sappiamo e basta. Sappiamo cosa provavamo e cosa significava il suo nome distorto in mille modi diversi sul display del telefono, la sua faccia che si infilava nello spiraglio della porta mentre accordavamo gli strumenti, il suo pollice alzato e i balletti ridicoli, la convinzione che il Napoli – l’anno prossimo, uno qualsiasi – sarebbe stato campione del mondo, la sua voce in cuffia che dice ciao, giovane, tante piccole cose che voi – ma non è colpa vostra – non potete capire neanche se leggete quei trafiletti in cronaca che descrivono con distacco professionale le circostanze di una morte qualsiasi. Se vi mettete gli occhiali e aprite un demo o qualche produzione di un gruppo bolognese degli ultimi dieci anni e vi concentrate su quelle righe stupide in cui i musicisti scrivono Grazie a-…vorrebbe rigraziare-thanks to-…would like to thank , probabilmente troverete il suo nome, ancora distorto – come se ci fosse una legge per la quale più un nome perde la sua forma originale e più chi lo porta è importante – oppure per esteso, anche se lui con quel disco non c’entra molto, almeno in quello che avete in mano. Anche se quel disco non lo troverete. Ve lo diciamo noi. Vi dovete fidare. C’entra con tutto quello che c’è prima. Con le ore passate a scrivere, ad aspettarlo, a parlare di ogni niente, a registrare un promo come se fosse la cosa più importante del mondo e a farlo con una precisione limitata solo dai mezzi a disposizione. Poi vi chiedete perché gli vogliamo bene e gliene vorremo sempre. Forse questo non fa parte del vostro sistema di valori che si basa su domande come “Sì ma quanto guadagni per questo?” o “Sì ma ti dà qualcosa quando lo sostituisci?” e che non accetteranno mai una risposta come “Più di quanto pensate”, però alla fine è così. Noi abbiamo avuto da lui qualcosa che nessuno di voi potrà mai darci e vogliamo sperare di avere fatto per lui almeno un briciolo di quello che lui ha fatto per noi. Le persone – generalmente – non sono buone. Le persone fanno schifo. Ma lui forse era un extraterrestre, forse non voleva neanche esistere e aveva una paura terribile di uscire allo scoperto.
Per cui, no. Non sappiamo come si fanno queste cose. Forse siamo più bravi a comporre dei dischi, sperando che piacciano a chi li ascolta. Però ora sappiamo cosa si prova a svegliarsi una mattina e a sentirci dire che Sergio non c’è più e a pensare che è uno scherzo stupido – uno dei suoi quando si tocca il cuore e bussa e dice ‘cuoricino, ci sei ancora?’– e a telefonare a nostra volta a tutti quelli che lo conoscono e a pensare che chi ci risponde ‘stai scherzando’ sia pazzo, un attimo prima di realizzare che noi abbiamo pensato esattamente la stessa cosa pochi minuti prima. A trovarci tutti in un capannone e ad abbracciarci e a piangere nel suo studio guardando uno schermo, il suo amplificatore, il mixer, la sua sedia IKEA, un foglio in cui c’è scritto un numero e il nome di un locale che tu gli hai dettato una settimana fa, quando lui diceva di avere la pressione a mille e tu cercavi di convincerlo anche con la forza ad andare a farsi visitare ma lui aveva paura e poi – quando era andato alla ASL per richiedere un dottore – l’impiegato non glielo aveva voluto dare, perché quella non era la procedura corretta. A guardare la porta che si apre e ad aspettare che lui metta la testa dentro ancora, con in mano le buste giganti della Coop piene di ‘sgranocchi’ e caramelle gommose, prima di appoggiarle e di dire Allora giovane, che fai, mi dai una mano a scaricare?
Perché la verità è che noi lo sentiamo dappertutto.
E sarà sempre così.
action dead mouse
legless
technocracy
e tutti quelli che vogliono segnarsi, per chiedere a Sergio se questa sera ha una sala libera.